commenti critici

 

 

Biografia

 

Il periodo figurativo

II periodo neo-costruttivista

Dipinti a smalto

Il periodo esistenzialista

Mostre

Un saggio di scrittura

Credits

 

Il valore seduttivo delle immagini

di Maria Cristina Rodeschini Galati

 

 

 

L’origine del lavoro di Loris Maria Pediconi comporta almeno due punti di riferimento: da un lato il partecipe interesse per l’attività creativa del padre Giovanni Maria e dall’altro l’ossessiva necessità, tanto urgente da non poter essere disattesa, del confronto con le problematiche sollevate dal vivere nella contemporaneità.

 

L’attività paterna si caratterizza per una poliedrica creatività capace di spaziare dall’architettura, che svolge professionalmente, alla pittura e alla scultura come luoghi di riflessione esistenziale, alla scenografia esercitata sperimentalmente a Milano negli anni Cinquanta. È proprio da qui che significativamente Loris Maria Pediconi prende le mosse, quando giovanissimo nel 1969 progetta gli impegnativi elementi di scena per “Il Castello” di Kafka, tanto rigorosi e minimalisti nella concezione, quanto convincentemente aderenti alla densità poetica del testo.

 

Nell’assecondare ancora una volta il magistero paterno individua nell’esercizio quotidiano della pittura, praticata sin dall’adolescenza, un perimetro entro il quale sperimentare liberamente, riorganizzando di volta in volta gli strumenti dell’espressione e cogliendo l’opportunità di misurarsi con la ricchezza di molteplici riferimenti culturali, dall’op al pop.

 

I profondi mutamenti di costume che coinvolgono a società civile tra gli anni ’70 e ’80, la radicalizzazione del dibattito tipica dei momenti di svolta, portano Loris Maria Pediconi a prendere posizione su questioni cruciali, adottando come transfert un linguaggio neo-pop di forte impatto visivo. Sono temi di portata storica, come il pacifismo, il rispetto dell’infanzia, la condizione femminile a venire rappresentati attraverso una stringente contaminazione dei loro risvolti pubblici e privati.

 

Oggetti presi dal mondo reale come giocattoli, che nell’immaginario collettivo si caratterizzano per l’alto valore simbolico, indumenti, che nel culto del bianco suggeriscono presenze maschili e femminili in perturbante relazione tra loro, abitano composizioni tridimensionali incaricate di svelare il potenziale deduttivo dell’immagine. Nella cultura occidentale il bianco ha sempre avuto due contrari il nero ed il rosso: l’uso pressoché esclusivo di questo sistema ternario di colori sottopone inevitabilmente l’opera ad una pressante verifica di efficacia rappresentativa. La dominante bianca delle opere di Loris Maria Pediconi rinvia al luogo privilegiato di una ideale geografia mentale della creatività che individua in questo colore l’inizio e la fine del fare artistico. 

 

 
 

Impegno civile nelle opere di

Loris Maria Pediconi

di Suren Baiburtlian

 

 

 

Scrivere di Loris Maria Pediconi, artista polierico e figlio d’arte, non è agevole. Non è agevole perché non lo si può fotografare sotto una sola prospettiva, ma si dovrebbe trattarne le ispirazioni e la loro resa artistica, la forma e la sostanza, gli ideali e la visione; non lo faremo per stancare chi ci legge. Basterà, crediamo, vederne le opere con spirito di penetrazione per capirne il messaggio artistico e civile.

 

Per il lato artistico bisognerà notarsi come il colore diventi sostanza, ossia si materializzi nel quadro assumendo le fattezze delle cose che vuole rappresentare, con una crudezza dirompente quasi a diventare esso stesso l’oggetto della rappresentazione, direi che esca dalla tela per assalirci e portare il suo messaggio.

 

Il cromatismo materiale di Pediconi non è estetismo, è materializzazione del messaggio artistico che ci aggredisce e ci parla di un universo strano, a volte inquietante, spesso misterioso, spesso, diremmo, specchio di una personalità inquieta che le sue inquietudini trasmette nella tela e trascina lo spettatore che, anche quando non crede di esserne all’altezza ne capta e assorbe il messaggio intimo e profondo di un universo tutt’altro che quietante, idillico e rassicurante che è il nostro. Gli oggetti direi meglio, le masse rappresentate, balzano fuori dalla tela per aggredirci e trasmetterci la loro inquietudine.

 

Passiamo al messaggio civile. Pediconi è nemico di ogni violenza, di ogni violenza data dall’uomo all’uomo. Sia le sue figurazioni sia i suoi simboli sono un grido contro la sofferenza dell’uomo recepita dall’uomo. Quel rosso di sangue che riga molte sue opere sono il riverbero della sofferenza che l’uomo subisce dai suoi indegni simili.

 

La solitudine, la tristezza si accompagnano a questo grido contro la violenza in una spesso disperata rivolta contro la condizione umana.

Chi percepisce questo grido vuol dire che lo condivide, chi è con Pediconi vuol dire che si ribella.

Il mondo di oggi richiederebbe tante grida di gente comune contro la violenza e il sopruso.

Ma chi le ascolterà?

 


 

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